buona lettura!
HUNGER GAMES
Suzanne Collins,
Mondadori, 2009
Il mondo come lo conosciamo ormai non c’è più. Il nuovo
regno, Panem, è diviso in Distretti, 12 in tutto, ognuno specializzato nella
produzione di un bene che va a ingrassare e arricchire i cittadini di Capitol
City, la città sovrana, consumistica e superficiale che tiene in scacco il
resto del territorio conosciuto.
Un tempo esisteva un tredicesimo Distretto che provò a
ribellarsi, ma Capitol City reagì bruscamente soffocando nel sangue la rivolta
e attuando misure fortemente repressive nei confronti di qualsiasi forma di
libertà. Il risultato fu la fame, la povertà, l’isolamento e la sottomissione. Da
quel giorno, ogni anno, a Panem si svolgono gli Hunger Games, ovvero i “giochi
della fame”: ogni Distretto è obbligato a mandare due Tributi, un maschio e una
femmina tra i dodici e i diciotto anni, a Capitol City, e tutti quanti si
dovranno sfidare in un duello all’ultimo sangue in un’arena creata ad hoc.
Un crudele reality show da cui dovrà uscire un solo vincitore,
un campione che verrà ricoperto d’oro e benefici, a monito perpetuo della
sovranità di Capitol City, padrona incontrastata delle esistenze altrui.
Katniss e Peeta, i due Tributi del Distretto 12, lotteranno
con tutte le forze, e non lo faranno solo per sopravvivere, ma anche per
instillare il germe della rivolta, il ragionevole dubbio che qualcosa si può
fare per cambiare la situazione di fatto. Impareranno che le strategie non sono
scevre da effetti collaterali e che in un’arena dove tutti sono contro tutti, i
sentimenti possono essere un’arma potente.
“Hunger Games” è solo il primo capitolo di una trilogia che
narra le vicende di Katniss e del suo mondo post-apocalittico.
Uscito negli Stati Uniti per la prima volta nel settembre
2008, il libro ha raggiunto un notevole successo di pubblico raggiungendo i 16
milioni di copie vendute. Successivamente è stato tradotto in 40 paesi,
continuamente ristampato, e è uscito in Italia nel 2009 edito da Mondadori.
L’autrice Suzanne Collins ha iniziato la sua carriera nel
1991 come sceneggiatrice di programmi per bambini e ha raggiunto il successo
proprio con questa trilogia che le ha valso la nomina del “Times” tra le 100 più influenti
personalità nel 2010.
L’idea degli Hunger
Games pare le sia venuta mentre faceva zapping tra le immagini dei reality show
e quelle della guerra in tv.
Probabilmente l’idea del libro può affondare le radici anche
nella mitologia: i Tributi dei dodici Distretti richiamano alla memoria i sette
fanciulli e le sette fanciulle mandate in sacrificio da Atene a Creta per
placare la fame del Minotauro.
In questo caso, però, il Minotauro è la società moderna, e il
fine degli Hunger Games è quello di allietare e divertire il pubblico della
capricciosa Capitol City, in un reality show che scatena le bassezze e il
voyeurismo del genere umano: gli spettatori guardano, scommettono, si
“affezionano” ai Tributi quel tanto che basta a divertirsi, e infine si
compiacciono delle scene più truci. Il Governo, dal canto suo, trasmette
soltanto le “finestre” sul reality che risultino funzionali allo spettacolo
puro e all’intrattenimento, evitando di incrinare la credibilità e la liceità
delle Istituzioni.
Quello che delinea la Collins è un universo distopico in cui
prende corpo l’incubo del superamento dei confini etici in nome della propria
sopravvivenza.
Eppure Katniss troverà il modo per uscirne, usando come
strategia l’unica cosa che nell’arena degli Hunger Games non può proprio aver
spazio: il sentimento. E da pedina diventerà stratega, ma forse finirà pur
sempre per usare il cervello e non il cuore, incapace di far ordine nei propri
sentimenti come è giusto che sia per una ragazzina adolescente (seppur
costretta a crescere troppo in fretta).
Nel maggio di quest’anno è uscito nelle sale il film di “Hunger
Games” diretto da Gary Ross.
Suzanne Collins ne ha curato personalmente la sceneggiatura,
e in effetti il film non si discosta particolarmente dalla visione complessiva
del testo di partenza. Solo alcuni passi sono stati omessi e altri
semplificati, come spesso accade nella maggior parte delle trasposizioni
cinematografiche.
Anche i flashback e le spiegazioni dell’antefatto e della
genesi degli Hunger Games si avvalgono nel film di mezzi più funzionali a una
narrazione prevalentemente visiva (la storia di Panem è presentata con un filmato di Capitol
City, ma nel libro è narrata dal sindaco del Distretto 12).
Una
sostanziale differenza tra il libro e la trasposizione sta nel fatto che nel
primo l’Io narrante sia Katniss, mentre nel film la narrazione si svolga da sé:
in questo modo si perde tutto il travaglio personale di Katniss e non si
capisce quali siano i veri sentimenti che nutre per Peeta, l’altro Tributo del
suo Distretto, né quali siano i confini tra la strategia e la spontaneità.
A parte queste precisazioni sia il romanzo che il film
generano immediatamente l’ansia di vedere come va a finire la vicenda, perché
parlano di un vero incubo che in fin dei conti ci riguarda tutti, affondando le
radici nel timore ancestrale di essere manipolati e di non avere accesso a
un’informazione libera e disinteressata.
Forse per questo Stephen King ha dichiarato che “E’ un
romanzo che da assuefazione”: si vuol vedere come va a finire, come se la cava
in tutto questo Katniss, come ce la caveremmo noi.
LIBRI E FILM PER RESTARE IN TEMA
Breve e delicato romanzo che narra le vicende
di una coppia nel 2166, in
un mondo regolato dal Piano Vidor (un insieme di regole ferree nate per
garantire l’ordine e la sicurezza del mondo), in cui si nasce vecchi e si muore
neonati. In un sistema in cui gli uomini vengono generati da sofisticate
macchine e classificati, accoppiati e strettamente sorvegliati dal Governo come
se fosse un Grande Fratello, una gravidanza è solo una fonte di pericolo per la
stabilità, e, infine, un disordine ormonale da correggere. Nell’incubo di
un’esistenza prestabilita si fa strada il sentimento, il vero motore della
natura umana.
- ROLLERBALL diretto da Norman Jewison (USA 1975)
Nell’anno 2018 una nuova organizzazione del mondo ha
assicurato la pace e la stabilità.
La rabbia repressa degli uomini trova una valvola di sfogo
in uno sport brutale senza esclusione di colpi, un ibrido tra pattinaggio,
motociclismo e hockey: il rollerball.
Jonathan, campione indiscusso da ormai dieci anni, entra in
contrasto con gli alti dirigenti che pretendono le sue dimissioni.
Lui, ovviamente, non ci sta, e nella serata della finale a
New York otterrà la sua vittoria sul Sistema.
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