can che abbaia non morde (quasi mai!!!!)

deliri semiseri

martedì, settembre 25, 2012

FIGHT CLUB


Questa è la recensione che ho scritto per la rivista ROMA SI' (numero SETTEMBRE).
Buona lettura!!!


FIGHT CLUB
Chuck Palahniuk, Mondadori, 2003.


Il protagonista, il cui nome non viene rivelato, ha una vita ordinaria, un lavoro fisso e una casa da single che sembra uscita da un negozio di arredamenti. In realtà la normalità che permea la sua esistenza è solo un velo di ipocrisia che ricopre lo squallore di un lavoro impiegatizio altamente stressante alle dipendenze di un capo ottuso e prevedibile. La sua casa poi è ordinaria, priva di personalità, come il suo proprietario: prevedibile anch’egli e soprattutto apatico.
Ma il conformismo probabilmente non è un tappo sufficientemente grande per il vaso di Pandora che è la mente del protagonista e LUI comincia a soffrire d’insonnia. Riesce a dormire solo frequentando gruppi di sostegno per malati di cancro, fornendo ogni volta generalità diverse, perché solo fingendosi un’altra persona riesce a sentirsi autorizzato a piangere e a dormire sonni tranquilli. Finché non arriva Marla, una disadattata e un’imbrogliona di professione. E’ lei che porta l’imprevedibile nella vita del protagonista e che rischia di riportarlo nell’abisso dell’incertezza da cui è venuto. E infatti LUI comincia di nuovo a non dormire, e un giorno incontra Tyler Durden che di ordinario non ha proprio niente: fa il proiezionista, ma solo per inserire fotogrammi osceni in film per famiglie, e fa il cameriere, ma solo per poter fare pipì nelle portate dei clienti. Sarà Tyler a trascinarlo, non si sa come, in una serie di eventi che porteranno alla nascita dei Fight Club, ritrovi in cui gli uomini si pestano a sangue come atto liberatorio per far pace col mondo. Fino a quando Tyler esagera e organizza gruppi di sabotatori per distruggere il mondo e le sue convenzioni. Tutto ciò che è ordinario ora diventa il nemico assoluto. Il protagonista cercherà di fermare Tyler, ma si renderà conto di essere sempre più impotente, perché Tyler potrebbe essere qualcosa di più di un socio, potrebbe essere ciò che LUI vorrebbe essere. E allora, come si fa a combattere contro se stessi? L’amore per Marla è ragione sufficiente per farlo?
Fight Club” (uscito negli Stati Uniti nel 1996) è il romanzo d’esordio di Chuck Palahniuk, scritto come provocazione contro l’editore che non volle pubblicare il suo manoscritto “Invisible Monster”. Ovviamente l’editore poi pubblicò entrambi i romanzi, e Chuck Palahniuk è diventato uno degli scrittori americani di riferimento del XXI secolo.
Singolare è il fatto che il protagonista del libro non abbia un nome: potrebbe essere chiunque di noi, e contemporaneamente uno tra i tanti uniformati nell’anonimato. Un nome, un’identità, il protagonista se lo da solo quando diventa Tyler, ovvero padrone di se stesso (“Liberami, Tyler, dall’essere perfetto e completo”). Quello che accade nel libro è un cortocircuito individuale e sociale. Il passaggio da un ordine convenzionale, alla mancanza di un ordine, dentro l’individuo e nella società. Il protagonista diventa Tyler e Tyler attua il progetto Caos per liberare il mondo dal consumismo e tornare liberi a uno stadio primitivo dell’umanità. Ma alla fine usa la violenza per liberarsi dalla violenza del consumismo. E’ un loop in cui è incastrato anche il protagonista. Il progetto Caos è alla fine un nuovo ordine a cui conformarsi, e i suoi seguaci altro non sono che “scimmie spaziali”, un esercito che esegue dei compiti stabiliti. Tutti vestiti di nero eseguono atti vandalici in giro per la città, proprio come i numerosi  movimenti anarchici e di protesta violenta nei confronti della società e delle multinazionali che agiscono nelle seconda metà degli anni 90 (periodo in cui è stato scritto “Fight Club”).
Lo stile di Palahniuck è minimalista e le parole sono centellinate. Tuttavia il risultato è fluido, come se si fosse di fronte al rigurgito di una mente senza filtro. La lettura scorre anche dove sono presenti frequenti ripetizioni (la componente ossessiva), salvo poi frenare bruscamente di fronte a improvvise interruzioni. Sono innumerevoli nel testo le massime filosofiche e le frasi a effetto, ma anche i flashback (con il momento finale della storia inizia tutto il racconto, così come accade in molti altri romanzi di Palahniuk).
Nel 1999 da questo libro è stato tratto l’omonimo film di David Fincher. Quando è uscito nelle sale ha suscitato molte polemiche anche per la tematica violenta, e per questo non ha riscosso un grandissimo successo al botteghino. Tuttavia, dopo l’uscita in Home video, grazie al passaparola e al merchandising , il film è diventato un cult, e Tyler Durden un’icona.
Il merito lo si deve anche al tocco di David Fincher, già regista di “Seven”, ma soprattutto alla bravura degli attori Ed Norton e Brad Pitt, decisamente contrastanti fra loro anche fisicamente.
In più la fine degli anni novanta è già abituata a film di questo tipo: sono gli anni di Tarantino e “Pulp Fiction” (1994), di Danny Boyle e “Trainspotting” (1996), di Oliver Stone e “Natural Born Killer”(1994). La sceneggiatura ricalca abbastanza fedelmente il libro, a parte alcune semplificazioni e la mancanza di alcuni personaggi secondari e di alcuni episodi (diverso è per esempio il modo in cui il protagonista incontra Tyler, nel romanzo avviene in una situazione che si avvicina più all’allucinazione che alla realtà). In più nel libro, verso la fine, si capisce meglio quanto il personaggio di Marla sia stata la molla scatenante di tutta la vicenda, mentre nel film è solo un elemento disturbante tra le due personalità del protagonista. Tuttavia l’adattamento ha i suoi meriti, visto che il testo, frutto della narrazione schizofrenica del protagonista, non sarà stato facilmente traducibile in immagini. Particolarmente interessante è l’escamotage che usa Fincher per introdurre Tyler, un fotogramma inserito in una sequenza di immagini: nel libro (ma questa informazione c’è anche nel film) Tyler è un proiezionista, e si diverte ad inserire fotogrammi tratti dai film porno nelle pellicole per bambini. Lui stesso, nel film, sarà un fotogramma inserito nella sequenza di immagini della vita ordinaria del personaggio: il dubbio, l’imprevedibile, l’osceno. Fincher è stato abile anche a non anticipare troppo, seminando indizi nel film sotto forma di soggettive incongruenti.
Diverso però è il finale, più verosimile il libro, meno il film. Il romanzo finisce sempre nella testa del protagonista. Così com’era partito. Un protagonista ricomposto, ma mai del tutto. Chi lo sa se le voci degli inservienti dell’ospedale psichiatrico (“Sentiamo la sua mancanza signor Durden”) sono vere?

LIBRI E FILM PER RESTARE IN TEMA

  • “TRAINSPOTTING”  REGIA DI Danny Boyle (Gran Bretagna, 1996)
A Edimburgo Mark Renton, Spud, Begbie, Tommy e Sick Boy trascinano le loro esistenze tra i paradisi dell’eroina e lo squallore di una vita senza prospettive né slanci. Parola d’ordine è scappare dalla vita ordinaria e consumistica, a qualsiasi costo: “Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta […] Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?” dice la voce fuori campo di Mark all’inizio del film. Solo alla fine, una volta uscito dalla droga, con alcuni amici in carcere e altri nella tomba, Mark sarà libero di vivere quella vita ordinaria che tanto aveva disprezzato.
  • “TOLLERANZA ZERO” di Irvine Welsh, Guanda 1995
Dall’autore di Trainspotting una storia giocata tutta nella mente di Roy, il protagonista, in coma in un letto d’ospedale dopo un tentativo di suicidio. Al suo capezzale una famiglia stramba e sconclusionata, che cerca di riportarlo alla coscienza con le canzoni di 007. Meglio il coma, pensa Roy, meglio i sogni, quelli in cui lui si ritrova in Africa, dove ha vissuto parte della sua infanzia. Lì si lancia in una caccia onirica al Marabù, un grosso e brutto uccello, che lui identifica con il male assoluto. Ma chi è veramente il Marabù? In una battaglia che si svolge tutta nella coscienza e nei meandri della mente, Roy scoprirà di non essere né buono né innocente come pensa di essere. Forse il mostro non è il Marabù, ma Roy stesso. “Se uccido il Marabù ucciderò il male che c’è in me” sarà la dichiarazione di Roy davanti all’evidenza dei fatti.

1 commento:

Mamary ha detto...

Mi dispiace non averlo letto prima. Lo trovo davvero bello!Bravissima!